Per far credere che la violenza domestica è commessa da uomini contro donne le femministe hanno inventato il subdolo termine “violenza di genere”, hanno falsificato statistiche e minacciato di morte e diffamato ricercatori, sociologi, scrittori ed attivisti che hanno descritto la realtà.
La realtà è che la violenza domestica o familiare è commessa dal 5-20% circa delle persone, uomini e donne in egual misura. Il numero varia a seconda di cosa è considerato violenza, ed a seconda del paese in cui è condotta l’analisi. In dettaglio, risulta che le donne hanno in media una lieve maggior tendenza alla violenza domestica, mentre la violenza esercitata dagli uomini ho conseguenze mediamente più gravi. Secondo molti studi, tendono a diventare adulti violenti i bambini e le bambine che subiscono violenza.
3.1 La violenza domestica non ha genere
La prima ricerca quantitativa ad ampio campionamento venne effettuata negli Stati Uniti e trovò che episodi di seria violenza domestica sono commessi dal 4.6% delle mogli e dal 3.0% dei mariti (Straus e Gelles). Le successive ricerche in Canada trovarono che episodi di seria violenza domestica sono commessi dal 10.4% delle mogli e dal 4.7% dei mariti (Brinkerhoff e Lupri). Successivamente centinaia di studi in diversi paesi del mondo hanno trovato risultati comparabili.
La letteratura è così vasta, che molti autori hanno lavorato per riassumerla.
Il primo fu lo psicologo M.S. Fiebert:
«221 studi empirici e 65 review e/o analisi dimostrano che le donne sono aggressive fisicamente quanto gli uomini o anche di più nelle loro relazioni con mariti o partners».
[M.S. Fiebert, “References Examining Assaults by Women on Their Spouses or Male Partners: An Annotated Bibliography”, Sexuality and Culture 1 (1997) 273-286 e successivi aggiornamenti].
Il review si focalizzava sugli studi in lingua inglese. Analoghe conclusioni ha raggiunto l’analisi estesa agli studi pubblicati in spagnolo:
«I livelli di perpetrazione, unilateralità ed iniziazione della violenza sono più alti nelle donne che negli uomini nelle popolazioni giovani, e si equilibrano con l’andare degli anni, fino a diventare simili in entrambi i sessi nell’età pienamente adulta».
[Javier Alvarez Díez et al, AEMA (Associazione Spagnola per lo studio del Maltrattamento e dell’Abuso), “Bidireccional y simétrica: 111 estudios sobre la violencia en la pareja” (2007) e “Análisis comparativo de una recopilación de estudios internacionales sobre la violencia en la pareja”, 2013, versione estesa a 450 studi].
Numerosi autori hanno tentato di avvertire i giudici che le femministe li avevano ingannati e dei disastri provocati dall’agire in base ad una ideologia falsa:
«Le politiche del sistema giudiziario relative alla violenza domestica sono state male indirizzate da un paradigma di genere che impedisce interventi efficaci. […] Il paradigma di genere ideologizza la violenza domestica come perpetrata primariamente da uomini a fini di controllo patriarcale. […] I tassi di violenza femminile, anche contro bambini, sono stati ampiamente celati. Il risultato è un atteggiamento mentale dei professionisti basato su informazioni false e che porta ad errori di giudizio. […] Il paradigma di genere è presentato dalle attiviste ai professionisti come se fosse supportato dalla ricerca, quando invece gli studi migliori trovano risultati opposti».
[D. Dutton, K.N. Corvo, J. Hamel, “The gender paradigm in domestic violence research and practice part II: The information website of the American Bar Association”, Aggression and Violent Behavior 14 (2009) 30].
La psicologa Nicola Graham-Kevan (Professoressa presso la University of Central Lancashire. Presidentessa della International Family Aggression Society) scrive:
«La violenza domestica è stata tradizionalmente descritta come un crimine maschile contro donne indifese. Tuttavia la ricerca negli ultimi 40 anni ha invece consistentemente trovato che uomini e donne commettono violenza in quantità simile. Il prof. John Archer ha condotto un review meta-analitico di questi studi, e trovato che le donne sono violente quanto gli uomini. [J. Archer, “Sex Differences in Aggression in Real-World Settings: A Meta-Analytic Review”, Review of General Psychology, Vol 8(4), Dec 2004, 291-322].
Perché la violenza femminile contro gli uomini è rimasta nascosta così a lungo?
Una causa può essere il femminismo. Il femminismo si impadronì della causa delle donne vittime di violenza, dopo che Erin Pizzey aprì il primo centro anti-violenza nel 1971. Il femminismo descrisse la violenza domestica come la naturale estensione delle attitudini “patriarcali” degli uomini […]
Paradossalmente, il femminismo può anche aver portato al recente aumento delle donne violente arrestate.
Infatti le femministe USA […] hanno ottenuto leggi di arresto obbligatorio per ogni accusa di violenza domestica. E così è triplicato il numero di donne arrestate. […] Tale aumento suggerisce che quando la polizia poteva scegliere se arrestare o meno, di solito sceglieva a favore delle donne violente.
La concezione femminista era supportata dal fatto che la violenza maschile fosse più visibile. Nei posti pubblici, come stadi e night-clubs, gli uomini sono la maggioranza dei violenti. Questo ha portato a credere che gli uomini fossero intrinsecamente più violenti.
Negli anni recenti la violenza femminile è arrivata agli occhi del pubblico: anche le donne hanno iniziato a bere venendo arrestate per crimini violenti fuori casa. Inoltre, la diffusione delle videocamere ha prodotto evidenza che ha portato la polizia a ricredersi sugli stereotipi».
[Nicola Graham-Kevan, “The invisible domestic violence – against men”, The Guardian, 7/6/2011]
3.2 Lo stato della conoscenza in materia di violenza domestica
La fonte più autorevole e recente è il Partner Abuse State of Knowledge (PASK), che ha riassunto lo stato della conoscenza in materia di violenza domestica. 42 accademici e 70 assistenti di ricerca in 20 università e centri di ricerca hanno per due anni condotto una analisi estensiva e critica della letteratura scientifica basandosi sull’evidenza scientifica rigorosa, sulla trasparenza, sulla correttezza metodologica. Sono stati considerati circa 12000 studi, costruendo il principale data-base al mondo in materia di violenza domestica. I risultati sono stati riassunti in un review di 2657 pagine, e più concretamente in alcuni punti chiave:
- «Il tasso di violenza perpetrata da donne (28.3%) è più alto del tasso di violenza perpetrata da uomini (21.6%).
- Uomini e donne usano violenza domestica per motivi simili: primariamente per ottenere l’attenzione di un partner che li ha offesi, per stress o gelosia.
- La gelosia ed i tradimenti del partner sembrano essere un motivo di violenza per sia uomini che donne.
- Nessuno degli studi ha riportato che rabbia o vendetta fossero motivi più validi per gli uomini che per le donne; due articoli hanno indicato che la rabbia era un fattore più probabile per la violenza femminile rispetto alla violenza maschile.
- Indicatori di dominanza maschile non risultano correlati con il tasso di violenza maschile; viceversa indicatori di dominanza femminile spiegano il 47% della variabilità della violenza femminile
- Basso reddito, disoccupazione, età giovanile, appartenenza a minoranze sono fattori di rischio correlati con la violenza domestica.
- Un buon rapporto con i genitori durante l’adolescenza, un contesto sociale di supporto sono fattori protettivi contro la violenza domestica.
- Le coppie sposate sono a minor rischio delle coppie non sposate.
- L’indice di diseguaglianza di genere (GII) di una nazione non è correlato con il tasso di violenza domestica né maschile né femminile
- Vi è un maggior tasso di violenza nelle coppie omosessuali».[J. Hamel et al., “Partner Abuse. New Directions in Research, Intervention, and Policy” e Spinger]
In maggiore dettaglio, la categoria più violenta sono le lesbiche, la categoria da cui provengono molte delle femministe che hanno creato il calunnioso mito della violenza maschile. [Carolyn M. West, PASK report n. 6, “Partner Abuse in Ethnic Minority and Gay, Lesbian, Bisexual, and Transgender Populations”, Partner Abuse, Volume 3, Issue 3, 2012, tabella V. P. Tjaden, N. Thoennes, C.J. Allison, “Comparing violence over the life span in samples of same-sex and opposite-sex cohabitants”, Violence and Victims 14 (1999) 413. K.F. Balsam et al., “Victimization over the life span: A comparison of lesbian, gay, bisexual, and heterosexual siblings”, Journal of Counseling and Clinical Psychology 73 (2005) 477. T. Huges et al., “Victimization and substance use disorders in a national sample of heterosexual and sexual minority women and men, Addiction 105 (2010) 2130. A.F. Carvalho et al., “Internalized sexual minority stressors and same-sex intimate partner violence”, Journal of Family Violence 26 (2011) 501. A.M. Messinger, “Invisible victims: Same-sex IPV in the National Violence Against Women Survey”, Journal of Interpersonal Violence 26 (2011) 2228].
Il PASK afferma che i sistemi giudiziari operano in maniera sessista:
- «Gli uomini vengono consistentemente trattati più severamente ad ogni stadio processuale, in particolare quando viene deciso se aprire o meno un processo.
- È più probabile che le donne vengano citate in giudizio piuttosto che arrestate.
- È più probabile che gli uomini vengano condannati, ricevendo sentenze più pesanti.
- È molto più probabile che alle donne vengano garantiti ordini di protezione, e più forti di quelli garantiti agli uomini.
- Non c’è invece alcuna evidenza di discriminazioni contro gruppi etnici».
3.3 Come le femministe hanno falsificato le ricerche sulla violenza
Il sociologo Richard James Gelles (Preside di Facoltà alla University of Pennsylvania, titolare della cattedra Joanne and Raymond Welsh di Benessere dei Bambini e Violenza Familiare alla Scuola di Politica e Pratica Sociale, direttore del Centro di Ricerca su Gioventù e Politica Sociale) è uno dei pionieri della ricerca sulla violenza domestica, campo di cui è diventato il massimo esperto mondiale.
Gelles e i suoi collaboratori hanno subito minacce di morte e falsi allarmi bomba in occasione delle loro conferenze: le femministe volevano impedire loro di presentare i risultati delle ricerche, secondo cui l’incidenza della violenza di donne contro uomini è circa pari a quella di uomini su donne.
Egli stesso narra tali eventi:
«Quando scrissi il mio primo libro “La Casa Violenta” ignorai la storia di Alan e Faith, perché non si inquadrava nel contesto ideologico di porre l’attenzione sulla violenza contro le donne: Alan non aveva mai picchiato sua moglie. Riportai delle violenze e degli abusi subiti dai Faith dai suoi ex, accennando solo come Faith avesse picchiato suo marito mentre leggeva il giornale.
Due anni dopo mi iscrissi ad una conferenza, ma rifiutarono la mia iscrizione alla sessione “Violenza Domestica” dicendomi che era piena.
Andai comunque sedendomi in fondo alla stanza, e c’erano solo 20 persone. L’argomento era la teoria femminista del patriarcato come spiegazione della violenza sulle donne. Dissero categoricamente che non esistevano uomini vittime di violenza domestica.
Alzai la mano e spiegai che le mie ricerche avevano messo in luce anche la violenza sugli uomini. Mi spiegarono che era certamente auto-difesa.
Con dei colleghi allargammo il campione della nostra ricerca, scoprendo che la violenza è egualmente divisa fra i sessi.
Tutti e tre ricevemmo minacce di morte. Le nostre conferenze venivano interrotte da falsi allarmi bomba. L’università della mia collega ricevette lettere per farla licenziare e per farle tagliare i fondi. Ricevemmo anche alcune critiche metodologiche, cui dieci anni dopo rispondemmo con una nuova indagine con metodi rivisti. Trovammo che la violenza sulle donne e sui bambini era scesa: la cosa non ci sorprese, visto l’enorme quantità di risorse impiegate nel risolvere il problema.
La violenza sugli uomini era invece rimasta uguale. Scoprimmo anche che donne e uomini iniziavano la violenza in egual frequenza. Quando pubblicammo i risultati, gli attacchi personali furono ancora più insidiosi, addirittura si insinuò che il mio collega avesse abusato di sua moglie.
I nostri risultati sono poi stati confermati.
Tuttavia non uno dei miliardi di dollari spesi per la violenza domestica va ad aiutare gli uomini. Ci sono 1800 centri per donne picchiate, nessuno per uomini.
Quando un uomo chiama la polizia, questa tende ad arrestare entrambi. I padri che tentano di proteggere i loro bambini da madri abusanti, spesso si trovano arrestati per sequestro di minore».
[Riassunto da The Independent (London), 28 marzo 1999].
Un altro ricercatore, D.G. Dutton, scrive:
«L’evidenza della ricerca contraddice ogni assunzione principale del paradigma di genere: la violenza domestica femminile è più frequente di quella maschile, anche contro partner non-violenti, non c’è relazione fra volontà di controllo e violenza, e ad usare la violenza come strumento di controllo sono sia uomini che donne.
I sostenitori del paradigma del genere si citano a vicenda ignorando
i dati che smentiscono i punti chiave della loro ideologia. Quando i dati contraddicono la loro teoria, invece di abbandonare la teoria ignorano o
attaccano i dati. […] Non riescono a capire che le scienze sociali hanno regole di correttezza e non fini politici, hanno regole contro l’utilizzo di
campioni pre-selezionati, contro le generalizzazioni infondate, contro le citazioni falsificate, e così via. […] È un sistema auto-referenziale finalizzato a preservare a tutti i costi un’ideologia piuttosto che a cercare la verità. È l’essenza dell’anti-scienza, più vicino agli strumenti retorici dei politici e delle sette religiose».
[D.G. Dutton, “The Gender Paradigm and the Architecture of Antiscience”, Partner Abuse 1 (2010) 1].
La falsificazione operata dalle femministe ha raggiunto un livello tale che, a sua volta, è opera di indagine. Muray A. Straus (Professore di sociologia e co-direttore del Family Research Laboratory, University of New Hampshire) ha pubblicato un articolo nel quale descrive i metodi che hanno usato per falsificare la realtà:
«I 7 metodi [sotto] descritti hanno creato un clima di paura che ha inibito la ricerca e la pubblicazione dei dati che mostrano che uomini e donne sono violenti in egual misura, e spiegano come mai l’ideologia femminista ed il loro modo di agire ha persistito per 30 anni, nonostante centinaia di studi che dimostrano la molteplicità dei fattori di rischio per la violenza.
- Metodo 1. Nascondere l’evidenza. Fra i ricercatori non allineati all’ideologia, molti (incluso e me alcuni colleghi) hanno nascosto risultati che mostrano che uomini e donne sono violenti in egual misura per evitare di diventare vittime di accuse feroci ed ostracismo. Quindi molti ricercatori hanno pubblicato solo dati su maschi violenti e femmine vittime, omettendo deliberatamente maschi vittime e femmine violente.
- Metodo 2. Evitare di ottenere dati inconsistenti con la teoria della “dominazione patriarcale”. Nelle indagini statistiche, questo metodo di manipolazione consiste nel chiedere alle donne delle violenze subite da uomini, ma evitare di chiedere se hanno commesso violenze.
- Metodo 3. Citare solo studi in cui gli uomini sono violenti. Potrei elencare moltissimi articoli che hanno citato articoli in maniera selettiva, ma invece mostrerò come questo processo di inganno e distorsione è istituzionalizzato in documenti ufficiali di governi, ONU, OMS.
- Metodo 4. Concludere che i risultati supportano l’ideologia femminista quando ciò è falso. Gli studi citati sopra, oltre ad illustrare la citazione selettiva, contengono anche esempi di adesione ideologica che porta i ricercatori a interpretare falsamente i propri dati.
- Metodo 5. Creare evidenza per citazione. È quello che Gelles ha chiamato “effetto woozle”: (un animale inesistente dei cartoni animati di Winnie the Pooh) si crea quando numerose citazioni di pubblicazioni passate che non contengono evidenze scientifiche ci ingannano nel credere che questa evidenza esista. Ad esempio, forse avrete sentito che “una donna su 4 viene picchiata”. Se andate a cercare la fonte originale di questa affermazione, scoprirete che la frase originale vera era “il 5% delle donne e degli uomini subisce violenza domestica”.
- Metodo 6. Ostruire pubblicazioni e levare i fondi a ricerche che potrebbero contraddire l’idea che la dominanza maschile sia la causa della violenza domestica. Ho documentato un caso in cui una pubblicazione è stata bloccata, ma credo che capiti spesso. Il caso più frequente è la auto-censura di autori che temono che i risultati possano danneggiare la propria reputazione, e, nel caso degli studenti, la possibilità di trovare un lavoro. Un esempio di blocco di fondi è la proposta di investigazione del 2005 del National Institute of Justice: il bando diceva che non era permesso studiare la violenza sugli uomini.
- Metodo 7. Minacciare, assalire e penalizzare i ricercatori che producono risultati scientifici contrari all’ideologia femminista. Suzanne Steinmetz fece l’errore di pubblicare un libro ed articoli che chiaramente mostrava come uomini e donne fossero violenti in egual misura. L’odio si concretizzò in minacce di bombe al matrimonio di sua figlia, è stata vittima di una campagna per negarle il posto e stroncarle la carriera universitaria. 20 anni dopo lo stesso è accaduto ad un ricercatore la cui tesi dimostrò che uomini e donne sono violenti in egual misura: gli hanno impedito la promozione ed il posto. Nella mia esperienza, una delle mie studentesse è stata minacciata ad una conferenza che mai avrebbe trovato un posto se avesse fatto il dottorato con me. All’università del Massachusetts, mi hanno impedito di parlare con urla e violenze».
[M.A. Straus, “Process Explaining the Concealment and Distortion of Evidence on Gender Symmetry in Partner Violence”, European Journal of Criminal Policy Research 13 (2007) 227-232].
Nicola Grahm-Kevan ha identificato e pubblicato un ulteriore metodo usato dalle femministe per falsificare i dati e calunniare gli uomini:
«Metodo 8. Manipolare i numeri.
Autori guidati dall’ideologia manipolano i dati per rendere più visibile le donne vittime ed oscurare la violenza sugli uomini. […] È routine manipolare le statistiche per falsificare la natura della violenza domestica. […] Ad esempio gli uomini sono il 74.5% delle vittime di omicidi, e sia gli assassini uomini che le assassine donne uccidono in prevalenza uomini piuttosto che donne».